3° classificato poesia 2024
Renato De Lucia
Sono campano ma vivo a Bergamo dal 1983 con mia moglie, nostro figlio e un cane.
Fino al 2021 (quando purtroppo, per raggiunti limiti d’età, come recita la lingua burocratica, sono andato in pensione), ho lavorato come docente di storia e filosofia.
Scrivo “da sempre” prevalentemente poesie ma mi sono cimentato anche nella prosa, costruendo alcuni racconti brevi.
Una ventina di anni fa, ebbi il piacere e l’onore di conoscere il compianto Maestro Franco Loi che mi ha permesso di godere il privilegio della sua amicizia e che, apprezzando il mio lavoro , in un certo senso, mi ha laureato poeta.
Ho partecipato, nel corso degli anni, ad alcuni concorsi letterari, ottenendo anche
riconoscimenti, ed ho pubblicato quattro raccolte di liriche:
“Poesie” Editore Gabrieli Roma 1975
“Dalla Solitudine dicendo “ Eurapress Milano 1988
“Eppure sono nato “Fondazione Mario Luzi Roma 2015
“Mi porto dentro” Porto Seguro Editore Milano 2020
“Sanno di vento” Nep editore Milano 2023
Ho scritto i primi versi a nove anni. Li ho scritti per mia madre, poi li ho persi come ho perso mia madre ma ricordo che ho provato piacere nel comporre quella prima, seppur ingenua poesia ed ho voluto continuare a provare quel piacere continuando a scrivere. Per molti anni ho scritto di nascosto come fosse un peccato da nascondere.
Avevo 19 anni, mio padre era morto da poco, quando ho trovato nel suo studio in un cassetto delle mie poesie che lui aveva trovato e letto e che, come mi disse poi mia madre, aveva raccolto con l’intenzione di pubblicarle. Quando avevo scoperto quei fogli, ricordo che ero arrossito, avevo provato vergogna come fossi stato improvvisamente messo a nudo. Eppure fu proprio allora che decisi che volevo e dovevo uscire allo scoperto e continuare a farlo, forse anche per mio padre, ma certamente per me e, direi, anche per altro.
Da allora, infatti, ho partecipato a premi letterari ed ho incominciato a produrre qualche libro, non più solo foglietti volanti. Io non credo che davvero la poesia abbia il potere di cambiare il mondo, anche se è bello coltivare questa illusione.
Sono però convinto che essa possa aiutarci a cambiare almeno noi stessi (“Changer les paroles pour changer la vie” era il motto di Rimbaud). La poesia ha, infatti, un potere terapeutico e anche questo, credo, valga, sia per chi la fa, sia per chi la legge. Almeno per me la parola della poesia nasce dal silenzio e, sempre nella mia esperienza personale, dal desiderio di dire, dal bisogno di parlare e dall’impaccio, dalla difficoltà, all’esposizione di sé. Questo limite, questa difficoltà, miracolosamente però, diventa la precondizione per cui nel silenzio e dal silenzio nasca la parola scritta.
Quel silenzio, infatti, partorisce l’autentica comunicazione.
La poesia mi ha permesso di abitare il mondo, per un verso, radicandomi in esso con più forza ed adesione, da un altro lato, essa mi ha portato e mi porta a ricrearlo continuamente con l’immaginazione che a volte, prepotente, prende il sopravvento.
Ho scritto poesie d’amore, intimiste e poesie civili, poesie che parlano di donne o di amici che se ne sono andati, del tempo che passa, di cani, ecc., cioè di tutto quello che chiamiamo vita ma penso che comunque la scrittura costituisca, in ogni caso, un atto politico e che la dimensione del privato e quella del politico non possano mai davvero essere disgiunte.
Dalla prefazione al mio “Eppure sono nato”, riporto le parole di Mattia Leombruno che così descrive la mia produzione:
“A volte, l’ambientazione è a carattere onirico, metafisico, non certo per un mero atteggiamento stilistico ma proprio per tale trasposizione dell’umano in poesia, della poesia fatta stessa icona d’una esperienza incarnata.
Lungo i versi è esplicitato il contraltare della vita, quello squilibrio d’esistenza che tenta di conciliare le opposte sponde, i suoi divergenti lati: la vita e la sua assenza, la lievità e la sottrazione dei giorni. Venire al mondo, la nascita, implica questo arduo dualismo; eppure, per ciascuna caduta, per l’inerzia che ci resiste ed opprime, c’è la salvezza di quella nostra esistenza che è sempre pronta a riscattarci. L’apparente indeterminazione del non saper dare un giusto nome alle cose lascia il discorso poetico sempre aperto…continua ricerca che diviene indagine personale, interrogazione intorno all’esistente” (Mattia Leombruno, presidente della Fondazione Mario Luzi).